E' come
se esplodesse
nel cuore
la dinamite
nel tempo
che posa
e poi riprende
nella stagione
che per
un solo giorno
mescola
il croco
e le margherite
mercoledì 21 marzo 2007
martedì 13 marzo 2007
la 850...29 anni dopo
La vista delle Meteore è un tuffo al cuore. Quasi 30 anni fa ci arrivavo dopo un' epopea di una settimana lungo la Jugoslavia di Tito, valicando i bazar di Pristina e i minareti di Skopje. Con tre amici sopra una Fiat 850 piena come un uovo, dentro e fuori. Nei tratti di rettilineo riuscivamo a toccare i 90 e giungemmo,calcolando i pochi soldi e come felici avventurieri, proprio lì, nella prima tappa in territorio greco: camping Rizos di Kalambaka. Sono quei nomi che uno si porta dietro stampati tutta la vita perchè in quel momento riassumono la vita che stai scoprendo. Guardo silenzioso fuori dal finestrino del pullman del tour scolastico che mi riporta laggiù, e di colpo quegli anni '70, ingurgitati allora a fiotti, mi sembrano a un metro. Cerco tra la macchia e le insegne di una Grecia sempre sconclusionata e affascinante; non voglio ammetterlo, ho paura di bruciare con l'ansia del presente curioso un passato irripetibile, ma cerco...Ed eccolo il cartello blu e ruggine con la freccia verso una staccionata tra gli ulivi. Camping Rizos, welcome. Faccio passare qualche minuto, mentre percorriamo il breve tragitto in direzione dei monasteri che già guardano dall'alto.La stessa strada, è lei. Quasi senza prepararmi mi alzo e sfilo il microfono del pullman. Dietro ci sono 40 ragazzi solo di un paio d'anni più giovani di quei noi . Così diversi, con cuffie, telefoni e pantaloni che noi non conoscevamo, visi ai quali voglio bene nel mio sforzo continuo di capirli. Gli dico dell'850 e di quel che si smuove in me. E, lo so, mi scombussolerà meravigliosamente quando planeremo sul mare di ulivi di Delfi, o misurerò, lasciandoli per un po', lo stadio di Olimpia, o ricorderò sui sassi di Micene e dell'Acropoli un caldo estenuante che mai ci avrebbe,sicuro, fatto arrendere. Ascoltano e ogni tanto, nelle ore seguenti, qualcuno mi affiancherà domandandomi di un mondo che non hanno più, di pazzie che aerei, genitori preoccupati e pigrizie inconsapevoli gli hanno cancellato e che però, dentro, forse sognano.
lunedì 26 febbraio 2007
neve sopra e sotto
...quelle giornate in cui tutto ti dice...stai a letto. Il blocco del traffico, un cielo plumbeo da non lasciar speranze e la sveglia che ti guarda nel buio alle 7. Ci vogliono complici per decidere e purtroppo, mi dico, ne ho. Così si va lo stesso: meta una camminata in montagna a 1600 metri con le racchette da neve. Zaino, viveri, sonno ed eccoci in autostrada verso la Val Formazza. Piove e, le previsioni non sbagliano, a 1400 metri le gocce deprimenti si trasformano in neve. Ormai siamo in ballo e nessuno parla di ritirata. Vacilliamo solo davanti ad un cartello che parla di polenta e spezzatino in una trattoria.Ma è solo un attimo di sbandamento, come quello della macchina sui tornanti imbiancati. La vestizione: scarponi, ghette,zaino, cappello di lana, tutto sotto la mantella stile alpini della ritirata di Russia. Racchette ai piedi e la spinta dei bastoncini, capisco subito che rimanere a casa sarebbe stato un delitto. L'Alpe Devero è un pezzo di grande Nord, con abeti, prati e ogni cosa bianchissima.
Chiacchierando e facendo lunghi silenzi si avanza e si sale tra baite da presepio fino ad un lago che non c'è. E' una distesa candida che si confonde col resto. In certi momenti non ci si vede per il fitto fioccare e alla una i panini e il caffè del termos ce li prendiamo sotto lo spiovente di un casolare.Di un giorno come questo, nel ronzio dell'auto al ritorno, ricordo il rumore dei passi scricchiolanti e il fiato che si confonde con i fiocchi. Basta e, davvero, avanza.
Chiacchierando e facendo lunghi silenzi si avanza e si sale tra baite da presepio fino ad un lago che non c'è. E' una distesa candida che si confonde col resto. In certi momenti non ci si vede per il fitto fioccare e alla una i panini e il caffè del termos ce li prendiamo sotto lo spiovente di un casolare.Di un giorno come questo, nel ronzio dell'auto al ritorno, ricordo il rumore dei passi scricchiolanti e il fiato che si confonde con i fiocchi. Basta e, davvero, avanza.
giovedì 15 febbraio 2007
onde nebbie
Che non sia
l'ossessione
di mille canti
senza amore.
Di sirene
spostate
di getto
da una prua
a un dolore.
Fiammeggianti
nella nebbia
di mare
l'ossessione
di mille canti
senza amore.
Di sirene
spostate
di getto
da una prua
a un dolore.
Fiammeggianti
nella nebbia
di mare
sabato 3 febbraio 2007
pane
Il vento
di una neve
da chissà dove
sparge
agli angoli
un filo
di pane
nella notte.
Lievitano attese
nei cuori
di chissà chi
di una neve
da chissà dove
sparge
agli angoli
un filo
di pane
nella notte.
Lievitano attese
nei cuori
di chissà chi
domenica 28 gennaio 2007
il ricordo non è Memoria
In questo sabato 27 gennaio di compere e di passeggio, Giorno della Memoria, c'è una cinquantina di persone disposta ad ascoltare storie. Fiabe vere nate tra noi più di 60 anni fa nell'inferno che attraversava l'Europa. Nissin era un ragazzo di tredici anni in una famiglia ebrea di Milano. I bombardamenti convinsero il papà artigiano a cercare per loro quattro un luogo in cui rifugiarsi, qualche decina di chilometri verso la campagna. D'improvviso il 9 settembre si scoprirono candidati alla deportazione. Non un perchè che comprendessero, ma niente più scuola e amici, e la sensazione che gli sguardi attorno potesserlo condurli su quei vagoni in partenza per il Brennero. Nell'aria domestica che si era fatta gelida seppur d'estate, decisero di salire su un treno per la Svizzera, che era lì dietro l'angolo e ora assomigliava a un nuovo paradiso. Vi sbarcarono sollevati, con due cose, e andarono dai militari. Qualche domanda e poi via, tornate da dove venite, non c'è motivo d'accoglienza. Via. La sera erano ancora con gli occhi spalancati al buio nella casina fuori Milano. Papà Contente decise di giocare una mano estrema e senza ritorno. Andarono dal segretario comunale del paese, un buon uomo si diceva, e follemente, si rivelarono. Il dottor Bassi non era solo un buon uomo, era un uomo buono. Si alzò e andò di là per un minuto, lasciando sulla scrivania quattro carte di identità vuote. I Contente si guardarono e di getto le compilarono. Arrivarono misteriosamente anche i timbri di validazione. Ora erano sfollati siciliani oltre la linea Gotica, ma non potevano tornare tra i vicini che li conoscevano e li avrebbero subito smascherati. Il dottor Bassi era qualcosa in più che buono, era coraggioso. Lo sapeva, quello che stava facendo poteva far condannare alla deportazione tutti, anche quella sua bimbetta che gli era nata da un anno e che, adesso, il 27 gennaio 2007, ha accompagnato qui Nissin a narrare la sua storia, la loro storia. Il segretario aveva giurisdizione pure sul comune limitrofo e non si fermò. Portò i Contente nella scuola chiusa e li alloggiò in uno stanzone che divenne, per anni che sembrarono secoli, la loro casa. Come facevano a campare? avrebbero potuto chiedersi lì in giro. Il padre di Nissin scappava di tanto in tanto a Milano per vendere in nero, con il contagocce, i gioelli che avevano salvato. Però il grandicello Nissin doveva mostrar di lavorare, e allora rimaneva chiuso sei giorni della settimana nella stanza, invisibile, come se fosse chissà dove a guadagnar la pagnotta. Tutto calcolato, niente mosse false per nessuno, neanche per il dottor Bassi che inventava capatine di ispezione alla scuola per confortarli, portargli qualcosa, dirgli di resistere. Ora il suo nome è tra i Giusti di Israele e le famiglie Contente e Bassi si sono legate con un filo indistruttibile. Perchè quello che tutti credevano fosse un uomo buono, magari coraggioso, in realtà fu un mite, assoluto eroe.
Accanto, adesso, racconta Giancarlo. Un giorno, era bambino, vide il padre uscire con delle persone dalla casa di Saronno, e non tornò più. Uno scampato scorse Pietro su un mucchio di cadaveri, a Gusen. Divenne sapone, fumo, mangime per animali o concime per le fattorie. Non è mai morto, dice Giancarlo, perche non riuscirono mai a farlo iscrivere al partito fascista, lui, ferroviere, pressochè obbligato. Il suo numero tatuato dagli aguzzini, Giancarlo lo ripete sempre a memoria. Davvero , come loro volevano, è rimasto indelebile, a rendere invincibile il vinto, a sconfiggere per sempre i suoi vincitori.
Tocca a Martina e Veronica che hanno messo in un video, tra le mura di casa, il nonno sulla sua quotidiana poltrona a sostenerlo. Ricorda, il vecchio Pompeo, di essere stato un soldato di vent'anni caricato su un treno per conquistare Grecia e Albania. Aveva un fucile a tracolla che non sapeva usare e non lo usò fino a quel settembre, quando li caricarono su un altro treno che ci mise un mese ad approdare in Germania. Campo di concentramento per militari italiani, a spaccarsi la schiena nel fondere il ferro per il disperato sogno hitleriano. Lo liberarono gli americani e lui, afferrata la cioccolata, saltò su un camion fino a casa. Ci arrivò unto nero in faccia, e per africano lo presero i compaesani, che videro risorgere dall'abisso quel ragazzo dei loro. Guerra di chi? ancor oggi si domanda Pompeo, che guarda nelle sue nipoti la determinazione e la tenerezza dei suoi anni pericolosi.
Il ricordo è diverso dalla memoria. Ricordare, nella parola, è fare appello al cuore, sentire l'istante bruciante ed effimero dell'emozione, prima che fatalmente si spenga. La memoria prende il testimone della passione e lo consegna alla ragione e alla coscienza, lo fa diventare stabile in profondità. Fare memoria dunque non è concedere al passato, per una qualche generosità, l'elemosina di non dimenticare. Al contrario la memoria è la radice indispensabile per conoscere chi siamo, per sapere che cosa di forte o di tremendo ci ha fatti così come ci sentiamo. Lo avevano capito duemilacinquecento anni fa i Greci che misero Mnemosine, La Dea Memoria, a proteggere ciò che di più bello l'uomo aveva creato: le Muse e le loro arti.
E anche questo è Memoria.
Accanto, adesso, racconta Giancarlo. Un giorno, era bambino, vide il padre uscire con delle persone dalla casa di Saronno, e non tornò più. Uno scampato scorse Pietro su un mucchio di cadaveri, a Gusen. Divenne sapone, fumo, mangime per animali o concime per le fattorie. Non è mai morto, dice Giancarlo, perche non riuscirono mai a farlo iscrivere al partito fascista, lui, ferroviere, pressochè obbligato. Il suo numero tatuato dagli aguzzini, Giancarlo lo ripete sempre a memoria. Davvero , come loro volevano, è rimasto indelebile, a rendere invincibile il vinto, a sconfiggere per sempre i suoi vincitori.
Tocca a Martina e Veronica che hanno messo in un video, tra le mura di casa, il nonno sulla sua quotidiana poltrona a sostenerlo. Ricorda, il vecchio Pompeo, di essere stato un soldato di vent'anni caricato su un treno per conquistare Grecia e Albania. Aveva un fucile a tracolla che non sapeva usare e non lo usò fino a quel settembre, quando li caricarono su un altro treno che ci mise un mese ad approdare in Germania. Campo di concentramento per militari italiani, a spaccarsi la schiena nel fondere il ferro per il disperato sogno hitleriano. Lo liberarono gli americani e lui, afferrata la cioccolata, saltò su un camion fino a casa. Ci arrivò unto nero in faccia, e per africano lo presero i compaesani, che videro risorgere dall'abisso quel ragazzo dei loro. Guerra di chi? ancor oggi si domanda Pompeo, che guarda nelle sue nipoti la determinazione e la tenerezza dei suoi anni pericolosi.
Il ricordo è diverso dalla memoria. Ricordare, nella parola, è fare appello al cuore, sentire l'istante bruciante ed effimero dell'emozione, prima che fatalmente si spenga. La memoria prende il testimone della passione e lo consegna alla ragione e alla coscienza, lo fa diventare stabile in profondità. Fare memoria dunque non è concedere al passato, per una qualche generosità, l'elemosina di non dimenticare. Al contrario la memoria è la radice indispensabile per conoscere chi siamo, per sapere che cosa di forte o di tremendo ci ha fatti così come ci sentiamo. Lo avevano capito duemilacinquecento anni fa i Greci che misero Mnemosine, La Dea Memoria, a proteggere ciò che di più bello l'uomo aveva creato: le Muse e le loro arti.
E anche questo è Memoria.
venerdì 26 gennaio 2007
di niente
Mi piace
addormentarmi
quando capita
curvato e
arreso
in luoghi
dove alcuni
nemmeno
siederebbero.
E in certi giorni
vivere di niente.
Come pastore
che attende l'alba
o aria di passaggio
addormentarmi
quando capita
curvato e
arreso
in luoghi
dove alcuni
nemmeno
siederebbero.
E in certi giorni
vivere di niente.
Come pastore
che attende l'alba
o aria di passaggio
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