lunedì 31 dicembre 2007

"e così non s'accorgevano"...

"..mi confermò, standomi accanto, quello che già sapevo: sono per natura un solista, ma, come direbbe Freud, con un forte istinto gregario. Amo aiutare ed essere aiutato. Individualista, certo, ma quando l'individualismo rischia di diventare solitudine, si sveglia in me l'animale sociale, e allora...ho bisogno di uno specchio in cui guardarmi".

(Fabrizio De Andrè)

venerdì 28 dicembre 2007

numeri di uomini

Mi hanno regalato un libro scritto da un teologo di quelli che non si nascondono in giri di parole e che la Chiesa spesso non tratta bene (...e invece dovrebbe farsi amare stando vicina a questi suoi uomini). Si intitola "Povertà e ricchezza attraverso la Bibbia" ed ha una bella prefazione, discreta e sofferta, di Fausto Bertinotti. In una delle prime pagine sono riportati i dati che tutti conosciamo, ma la scelta dell'autore ha un motivo: costringerci per un minuto a rileggerli, a tenerceli lì davanti. Sono i numeri riferiti ai poveri del mondo. Riporto queste righe non per intristire, spero, invece, per "sforzarci di vivere ricordando" e facendo, o almeno non facendo.

"Secondo la Banca Mondiale: 1,3 miliardi di persone vivono al di sotto della soglia di povertà assoluta; 840 milioni soffrono la fame, di cui 200 milioni sono bambini. Di questi, ogni anno 13 milioni sono condannati a morire: quasi 36 mila al giorno, 1500 ogni ora, 25 ogni minuto, 1 ogni 3 secondi. Circa un miliardo e mezzo della popolazione mondiale ha una speranza di vita inferiore ai 60 anni, più di 880 milioni non hanno alcun accesso ai servizi sanitari e 2,6 miliardi mancano dell'accesso alle strutture sanitarie di base. E' incredibile che la fortuna delle tre persone più ricche del mondo sia uguale al prodotto nazionale lordo delle 48 nazioni più povere. Un miliardo e 300 milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno. E' sconvolgente sapere che nei paesi industrializzati vive l'88% degli utenti di internet, mentre due miliardi di persone non hanno l'elettricità e che il 20% della popolazione ricca , nel mondo, consuma l'86% di tutti i beni."
(don Luciano Scaccaglia,Parma,2007)

domenica 23 dicembre 2007

superfesta

Feste obbligatorie
ci si comunica
a vicenda
che si è
in vacanza.
La cassiera
senza alzare
gli occhi
chiede
un Aulin
alla vicina.
Travestito
da tutto
è il niente
che avanza



(...allo stato attuale penso
che anche l'ateo si costringa a
urlare: abbasso Babbo Natale e
evviva Gesù, il Bambino)

mercoledì 12 dicembre 2007

all'amore

All'amore
ci si
abitua presto.
Al non amore
mai

domenica 9 dicembre 2007

tutto noi

Quando nell'auditorium della Casa della Carità il quartetto d'archi de La Verdi di Milano intona Bach e poi un violino fa volare John Lennon, una lacrima mi si affaccia inattesa. E continua la sua lenta corsa mentre il prete dei poveri Virginio Colmegna racconta della vita di chi vivere vorrebbe. Tutto il bello, meraviglia o dramma, si tiene. Siamo noi che apriamo le mani e tutto, invece, lasciamo andare.

lunedì 26 novembre 2007

tese bandiere

E si
portava dietro
gli anni
come fossero
bandiere
nei prati
chinati
di una
sua Mongolia.
Alte e strette
in un vento
così tagliente
che non sembrava
strappare.
A segnare
chissà quali
territori d'amore

venerdì 23 novembre 2007

teatro (di nuovo in sala prove)

Un volger
di buio
illumina
la scena.
Un tocco
di mano
sorregge
la parola

domenica 11 novembre 2007

trincee

Sono andato sull'Altipiano di Asiago. Ho camminato nel sole caldo dei Santi e dei Morti su alle trincee dello Zebio. Tra le pietre e i tronchi mi attraversavano gli scoppi di "Un anno sull'Altipiano" di Emilio Lussu. Brigata Sassari, qualche centinaio di pastori di un'isola lontana mandati a fare gli eroi a due metri da contadini austriaci (e ungheresi e bosniaci) dei quali avrebbero solo sentito le urla nella notte, l'odore, anche loro!, di cognac a fiumi prima della baionetta, visto i corpi sfigurati nella neve che si scioglieva. Sono croci piccole di legno tutte uguali,ora,in un pianoro vicino ai resti delle baracche e dei buchi-caverna-rifugio grattati con i picconi, di qua e di là. In un di qua che in poche ore diventava di là, e il contrario, all'infinito di battaglie di poveri cristi che adesso mi sembrano giganti. Assurdamente, giganti inconsapevoli, forse ma chissà, di pace, o almeno di un desiderio incommensurabile di essa, di mogli, di figli, di spietati campi e bestie in misere stalle, mentre si uccideva e si veniva uccisi.

sabato 27 ottobre 2007

un'ansa

C'era
un respiro
pulito
nella stanza.
Non costretto
libero
finalmente
di una libertà
sua
di chi
ha combattuto
e ancora
lo fa
mentre l'acqua
gira un'ansa
e rallenta
quasi dolcemente
si ferma

domenica 21 ottobre 2007

piccoli, grandi

Sono innamorato della scuola perchè ogni giorno è fatalmente diverso. Questi ultimi, ancora una volta,non hanno mancato di stupirmi, e anche qualcosa in più. Seguo nel mio Liceo due attività che,nel gergo ministeriale,si chiamano "aggiuntive". Vuol dire,cioè,che non fanno parte delle normali ore di lezione,e quindi sono a libera frequenza e collocate nel pomeriggio. Tuttavia,poichè vengono ritenute di valore educativo,la scuola stessa le ingloba ufficialmente nei suoi progetti e gli dedica spazi e risorse. Si tratta del Gruppo Teatrale e di quello che sceglie di operare in alcuni campi di Volontariato. Tirando le somme delle adesioni lasciate sui cartelloni affissi nell'atrio una cosa mi ha colpito. In entrambi i casi la trentina di studenti iscritta è...piccola. Sono ragazzi e ragazze (queste in numero decisamente più consistente) per la maggior parte del biennio: insomma 14/15 anni. Se vado indietro con i ricordi devo dire che è,quasi,un'inversione di tendenza. Ci sono stati anni nei quali,nella mescolanza delle età,spiccavano i "grandi". Seguiti da periodi di sostanziale equilibrio. E ora questa nidiata di adolescenti nascenti. Non so cosa stia succedendo. Bello,mi sono detto. Arrivano nuovi e subito si buttano a scoprire un mondo che gli apre i battenti. Bello, non gli basta la solita scuola. Ma poi: e gli altri? I ragazzi che dovrebbero servigli da rompighiaccio e con i quali identificarsi crescendo? Studiano,mi dice qualche collega. Più dei loro coetanei di alcuni anni fa? - mi chiedo. Sono,sempre mi interrogo,impigriti,o,peggio, stanno capendo che ci sono cose poco entusiasmanti che la vita ti chiede,ed altre belle che la vita solo ti propone. Ma che "la società" ti domanderà conto delle prime...Ci devo pensare con calma, ci sto in mezzo da sempre e mi sembra di essere in una buona postazione per cercare di capire. Intanto avanti con i babies. Li guardavo pendere dalle labbra dell'educatore che gli affiderà la compagnia di ragazzi-adulti disabili mentali,alcuni grandi e grossi il triplo di loro. E far domande alle maestre che aiuteranno ad accudire i bambini stranieri che popolano ormai le classi. Non sanno se sono pronti,ma ci credono. Spero che si distraggano,non si accorgano di quel che si respira in giro,e diventino grandi così.

domenica 14 ottobre 2007

va bene così

Quasi tutte le persone che conosco fuori dalla scuola non sarebbero buoni insegnanti.
Soprattutto quelli che penserebbero il contrario (...e questo anche tra gli insegnanti).
Essere lavoratori abili in vari campi e sapere cose interessanti, o genitori preoccupati dei loro figli, non ha nulla a che fare con l'entrare in una classe.
Ho imparato anche che è inutile cercare di spiegarlo.

giovedì 4 ottobre 2007

G. , vent'anni

La morte
colpisce
la morte capisce
se vale
la pena
di continuare
o se
una mano
dolce-pesante
ti può portare
lungo
una riva
di qualche mare

domenica 30 settembre 2007

Brasile, povertà e dolcezza

Waldemar e Regina stanno tra i bambini della favela vicino a Rio. E i piccoli si portano appresso i più grandi, già segnati dalla scommessa di sopravvivere comunque, e le mamme adolescenti, e i vecchi. Loro due fanno cose da giganti in punta di piedi, e ogni tanto vengono a raccontarcelo. Ringraziano,per il poco aiuto che da qui li sostiene, e riescono a comunicarci di miseria e violenza con la delicatezza non arrabbiata di chi è umile. Preferiscono farlo a cerchio in una casa,dove la generosità di Sandra e Chicco non pone limiti agli inviti, e sul tavolo arriva da tutti la cena per tutti. Anche tre ragazze del Liceo portano le torte, non conoscono nessuno ma presto staranno bene con gli altri. Hanno saputo di Waldemar e Regina attraverso le foto e le storie di Marta e Francesca, due compagne un po' più grandi che hanno trascorso un agosto in quel Brasile,piombate in classe per lezioni diverse dalle solite. Ora,anche se la maturità è alle spalle da tre mesi, hanno voluto esserci, abbracciare due persone normalmente fantastiche e cedere, almeno con il cuore, al loro invito "Vi aspettiamo, venite". Adesso per Vale, Cristina e Dani si è compiuto un altro leggero passo in più per quel che vorranno essere in futuro. Una riconferma, su due volti veri e luminosi,di qual è la direzione, indipendentemente da dove saranno e cosa faranno.

giovedì 13 settembre 2007

...e..

..ed io burattinaio di parole,
perchè mi perdo
dietro un primo sole,
perchè mi prende
questa assurda nostalgia

('Samantha', Guccini)

tra un canto

Il sapore
del vento
è qualcosa
di speciale
a metà
tra un canto
i capelli
e le ali.
Il sapore
di chi ascolti
respirare

profondo lontano

Te la ritrovi
cambiata
tra le mani.
Come cambia
una persona
inseguendo
strani fantasmi,
sbiadisce o vola
cambia
e non la trovi
e non sa
se sia sola
a raggiungere
piano piano
il suo
profondo lontano

mercoledì 29 agosto 2007

pirenei

Camminare per la prima volta sui Pirenei ha qualcosa insieme di folgorante e antico. Sono quei nomi magici (Annibale e il Tour de France, le legioni di Roma e i Baschi, i Càtari arroccati e cancellati, il vento d'Atlantico e gli zaini verso Santiago) che si pensa di non toccare con mano. Faticare tra rocce monumentali e verdazzurro di prati e acque non è come mettere i passi in altri monti. I Pirenei sono quei posti che o non ci vai mai o ti danno appuntamento. Più ti porti cose dentro più ti restituiscono, meno parli e più pensi, più ti ascoltano.

restate

Restate
restate
non moritemi
in mano
restate
parole

(da Paolini
con Mercanti di Liquore)

domenica 22 luglio 2007

trafalgar

"Venti leggeri,
andiamo
verso il nemico"
annotò
sul libro
di bordo
un ufficiale
delle navi
di Nelson.
Quanta
formidabile
poesia
si nasconde
nella furia
della vita

in cima

Siamo partiti alle cinque e mezza del mattino. Un'alba fresca giusta, fantastica se non fosse stata il preannuncio di un seguito dal caldo estenuante.Ma per un giorno lo abbiamo evitato.Nel chiuso dell'aria condizionata dell'auto ci siamo traghettati in due ore scarse ai 1200 metri del Passo della Presolana.Stessa aria fresca, l'incontro con gli altri e su nel bosco. Ci eravamo dati quattro ore per raggiungere la vetta della Presolana, 2521 metri di dolomiti in piene prealpi bergamasche. Bella, alta e grigio pulito, nella sua corona verde di prati e abeti. Per tante volte vista dal basso o solleticata alle pendici. Il buon ritmo ci porta sudati ma nei tempi all'attacco di una lunga arrampicata di livello 2+, con braccia e piedi da puntare saldi per un'ora e mezza senza aiuti di passaggi attrezzati ai quali praticamente e psicologicamente chiedere sicurezza,almeno da parte mia. A metà pende un metro di catena, lì imbrunita e solitaria a far da pendolo per scavalcare un passaggio. E basta. Su in silenzio, con qua e là i richiami per consigliare un appiglio o far attenzione al ciottolare giù dei sassi. Il sole è magnifico, tagliente ma non cattivo come quello che fa da velo umido in città. In un respiro della salita mi ritrovo ad appoggiare la tempia alla roccia fredda e a pensare: ma io laggiù non ci vorrei più tornare. Mi capita non tanto di rado da quando, tre anni fa, ho ripreso a frequentare le montagne. Non so, ho imparato a non inseguire troppo le immaginazioni se non le vedo sulla via della realizzazione. Però è come se si stesse preparando in me un dopo invisibile eppure possibile nel quale queste sensazioni, ora strappate con i denti a piccoli pezzi,potranno distendersi con calma,a lungo, in qualche luogo.Il vento teso sulle magliette bagnate ci dice che la cresta arriva. Guardiamo di là di quel mezzo metro su cui ora camminiamo circospetti, spigoli noi stessi di due mondi che lassù si incontrano, con le loro case giù lontanissime, le loro strade
e le folate che si posano sulla faccia da lati diversi.Uno slargo di qualche metro ci permette di aprire gli zaini attorno alla grande croce di ferro e vicino ai ricordi sparsi nei decenni lasciati lì da tanti.Non mi tolgo il caschetto rosso di Massimo che, dopo mille montagne, ora sta in Bangladesh,con i poveri di una terra di pianura e acqua. Abbastanza presto imbocchiamo la via al contrario, avendo chiaro che scenderla sarà più complicato che averla salita. Più occhi,meno certezza per dove infilare gli scarponi, più stanchezza. Il resto del cibo e delle bevande lo consumiamo ai margini del sentiero, in una grotta dove avevamo depositato il superfluo per essere leggeri e non impediti. Mi butto a valanga, sciando con le suole di vibram nei ghiaioni che precipitano verso il basso. Grazie a Chiara, Adriano, Anna e ai giovani scoiattoli Riccardo e Sara.

giovedì 14 giugno 2007

quinta liceo

Ogni tanto
mi vengono
adosso
gli sguardi sbagliati
i momenti
affrettati
le parole
mai dette.
I volti
naufragati
lontani
e infiniti
quel che è stato
e che non
si è fermato
le mani
i nomi
diventati
più del mio.
E dov'ero io
per poter
chiamare
tra
tutto
questo vento
che è passato

c'è

C'è un tempo che scorre lontano e un altro che ci aspetta per mano. Un tempo che ci culla nel sonno e che vorremmo durasse per sempre. Ci sono giorni che non dovrebbero esistere e minuti che sembrano ore, con il cuore che si è fermato per il dolore o per amore. Tempo voluto e cercato e poi in un lampo dimenticato. Tempo che scopre un tesoro in boschi incantati, e stagioni passate non ritrovate. Strade di curve da fare di un fiato, solo con i nostri occhi come steccato. Ci siamo noi ad ogni alba e tramonto a far scorrere la sabbia degli anni. C'è un tempo, e guai se non lo facciamo, in cui bisogna sognare, fossimo anche da soli a guardare la curva del mare.

mercoledì 23 maggio 2007

non

Il tuo invito
mi è rimasto
come un rimorso.
Il fatto
di averti evitato
e
non rincorso

sentieri d'acqua

Si trattiene il sonno
dagli occhi
e a volte rimango
turbato e senza parole.
Ripenso ai giorni passati
ricordo gli anni lontani.
Un canto nella notte
mi ritorna
nel cuore
parlerò ancora un mattino
al suo amore
fiorirà come un campo
la difficile promessa?
Sul mare
passa la sua via
su grandi sentieri d'acqua
ci saranno
orme invisibili
che io vedrò
e così mi addormento

martedì 8 maggio 2007

2030...50...80?

Saremo
un occidente
di vecchi
arrancanti
sui marciapiedi
ansanti
nelle camerate
muti dopati
dalle televisioni
a tutto volume.
In Brasile
metà
sono men
che maggiorenni.
Il resto
sono
solo parole

domenica 6 maggio 2007

quel che resta

La poesia
e l'immagine
appaiono.
Più che mettere
parole e linee
dovrebbero toglierle.

Solo di quel che resta
devono vivere
una volta
che tutto sparisce.
Di amore e di dolore
e di come
tra di essi
incespicando transitiamo

domenica 22 aprile 2007

immagini e parole

Il mio amico Gigi ed io tempo fa abbiamo deciso di unire due cose che ci emozionano. Le fotografie e la poesia.Lui fotografa pezzetti di vita e di cose che magari i più non notano. Io, forse, faccio altrettanto scrivendo versi di poche righe. E' nata così l'idea di fare incontrare questi due modi così differenti di esprimersi eppure uniti da un filo indissolubile: entrambe, foto e poesie, vanno guardate, meglio se non di fretta. I versi io li immagino sempre visti, osservati in nero sul loro sfondo bianco, non tanto letti. Ieri abbiamo esposto in città il risultato di un cammino che ha attraversato un bel po' di anni della nostra vita, intendo le volte che Gigi ha estratto discretamente la sua macchina e io ho cercato nelle tasche un pezzetto di carta su cui scrivere delle parole.Sono venuti in tanti,tra loro qualche persona sconosciuta, a vedere. I commenti che ci hanno lasciato sono stati la conferma, per noi importante, che ci sono strade del cuore ancora disponibili ad essere percorse e che, se nell'arte come in quasi tutto ormai, non c'è più nulla da inventare, la sincera semplicità è di per se stessa, sempre, vera novità. E questa non è una lezione per gli altri, è una lezione per noi. Grazie.

(puoi vedere la mostra integralmente andando su pierodasaronno, che trovi nei siti elencati qui a fianco, e scegliendo il canale "eventi")

l'angelo di pasquetta

L'angelo del
lunedì di Pasqua
si confuse
di un azzurro
troppo forte
e roteando
infranse
le vetrate dell'ospizio.
Ma si salvò
perchè le sue ali
si posarono
su Linda
che lì aspetta
dietro il vetro
da sempre
se mai
qualcuno
la venga
a trovare

domenica 1 aprile 2007

vukovar

Ho trovato uno scritto che mi pare straordinario. E' del poeta e regista bosniaco Lik Teatar e devo ringraziare un gruppo di ragazzi saronnesi che, nell'estate scorsa, ha trascorso un periodo insieme ai bambini di Vukovar. Qui, nella guerra che negli anni '90 dilaniò la Jugoslavia,si svolse per tre mesi uno degli assedi più tremendi, e si massacrarono tanti civili da riempire una delle fosse comuni più grandi della storia europea...Vukovar un monumento esso stesso questo nome. Le parole ficcanti di Teatar sono lunghe e le ho ascoltate nella versione di canzone- parlata con voce forte e incalzante fatta dal gruppo italiano CSI.Non poteva esserci scelta migliore. Riporto solo qualche capoverso, invitandovi ad andare a cercare il testo integrale di queste "Indicazioni stradali sparse per terra".

"se la città è in stato di assedio, occorre mandare i più coraggiosi a tentare di portare i sacchi di plastica opachi per i cadaveri. se questi non tornano, bisogna avvolgere i morti in lenzuoli bianchi. non è raccomandabile seppellirli senza. ciò fa diffondere il panico e la paura della morte diventa facilmente la paura di finire sepolti allo stesso modo."
"in guerra nessuno è intelligente. non devi credere alla verità di nessuno. le lunghe disquisizioni sull'insensatezza della guerra del professore di una volta, in un batter d'occhio si trasformano in un selvaggio grido di guerra, appena egli viene a conoscenza del fatto che il suo bambino gli è morto per strada."
"non ricordarti di nulla. prova a dormire senza sonno. devi ornarti di amuleti e abbi fede nel fatto che ti salveranno. abbi fede in qualsiasi segno, ascolta attentamente il tuo ventre. agisci secondo le tue sensazioni. se pensi che non bisogna cammminare per quella strada, allora vai per un'altra."
"proteggi i ricordi, le fotografie, le prove scritte del fatto che sei esistito. se tutto brucia,se perdi tutto, se ti prendono tutto...dovrai dimostrare anche a te stesso che una volta eri. ammassa tutto nei sacchi di plastica, seppellisci nella terra, mura nelle pareti, nascondi, e solo ai tuoi più cari svela la mappa per raggiungere il tesoro."
"non supplicare per nessun motivo. non supplicare nessuno. neanche se c'è di mezzo la vita. non è una questione di buon gusto. pensa solo cosa vuol dire vivere sullo stesso pianeta con una persona che ti ha risparmiato la vita."
"cerca di essere prudente. se hai bisogno di una buca in cui ripararti, scavatela da solo. se qualcun altro lo fa per te, la buca potrebbe rivelarsi troppo piccola."
"non hai il diritto di adirarti con nessuno. e tuttavia, non devi dimenticare nulla. quando tutto è finito, decidi di cosa non vuoi più ricordarti. se tutto è passato, non dimenticare gli esami che alcuni non hanno superato."
"e però non fondarti su questo. non aspettare l'occasione per poterti rivalere. la vendetta ti deve essere estranea. una questione che appartiene ad altri. se sopravvivi, vivi per te e quelli che sono sopravvissuti insieme a te."

mercoledì 21 marzo 2007

primavera

E' come
se esplodesse
nel cuore
la dinamite
nel tempo
che posa
e poi riprende
nella stagione
che per
un solo giorno
mescola
il croco
e le margherite

martedì 13 marzo 2007

la 850...29 anni dopo

La vista delle Meteore è un tuffo al cuore. Quasi 30 anni fa ci arrivavo dopo un' epopea di una settimana lungo la Jugoslavia di Tito, valicando i bazar di Pristina e i minareti di Skopje. Con tre amici sopra una Fiat 850 piena come un uovo, dentro e fuori. Nei tratti di rettilineo riuscivamo a toccare i 90 e giungemmo,calcolando i pochi soldi e come felici avventurieri, proprio lì, nella prima tappa in territorio greco: camping Rizos di Kalambaka. Sono quei nomi che uno si porta dietro stampati tutta la vita perchè in quel momento riassumono la vita che stai scoprendo. Guardo silenzioso fuori dal finestrino del pullman del tour scolastico che mi riporta laggiù, e di colpo quegli anni '70, ingurgitati allora a fiotti, mi sembrano a un metro. Cerco tra la macchia e le insegne di una Grecia sempre sconclusionata e affascinante; non voglio ammetterlo, ho paura di bruciare con l'ansia del presente curioso un passato irripetibile, ma cerco...Ed eccolo il cartello blu e ruggine con la freccia verso una staccionata tra gli ulivi. Camping Rizos, welcome. Faccio passare qualche minuto, mentre percorriamo il breve tragitto in direzione dei monasteri che già guardano dall'alto.La stessa strada, è lei. Quasi senza prepararmi mi alzo e sfilo il microfono del pullman. Dietro ci sono 40 ragazzi solo di un paio d'anni più giovani di quei noi . Così diversi, con cuffie, telefoni e pantaloni che noi non conoscevamo, visi ai quali voglio bene nel mio sforzo continuo di capirli. Gli dico dell'850 e di quel che si smuove in me. E, lo so, mi scombussolerà meravigliosamente quando planeremo sul mare di ulivi di Delfi, o misurerò, lasciandoli per un po', lo stadio di Olimpia, o ricorderò sui sassi di Micene e dell'Acropoli un caldo estenuante che mai ci avrebbe,sicuro, fatto arrendere. Ascoltano e ogni tanto, nelle ore seguenti, qualcuno mi affiancherà domandandomi di un mondo che non hanno più, di pazzie che aerei, genitori preoccupati e pigrizie inconsapevoli gli hanno cancellato e che però, dentro, forse sognano.

lunedì 26 febbraio 2007

neve sopra e sotto

...quelle giornate in cui tutto ti dice...stai a letto. Il blocco del traffico, un cielo plumbeo da non lasciar speranze e la sveglia che ti guarda nel buio alle 7. Ci vogliono complici per decidere e purtroppo, mi dico, ne ho. Così si va lo stesso: meta una camminata in montagna a 1600 metri con le racchette da neve. Zaino, viveri, sonno ed eccoci in autostrada verso la Val Formazza. Piove e, le previsioni non sbagliano, a 1400 metri le gocce deprimenti si trasformano in neve. Ormai siamo in ballo e nessuno parla di ritirata. Vacilliamo solo davanti ad un cartello che parla di polenta e spezzatino in una trattoria.Ma è solo un attimo di sbandamento, come quello della macchina sui tornanti imbiancati. La vestizione: scarponi, ghette,zaino, cappello di lana, tutto sotto la mantella stile alpini della ritirata di Russia. Racchette ai piedi e la spinta dei bastoncini, capisco subito che rimanere a casa sarebbe stato un delitto. L'Alpe Devero è un pezzo di grande Nord, con abeti, prati e ogni cosa bianchissima.
Chiacchierando e facendo lunghi silenzi si avanza e si sale tra baite da presepio fino ad un lago che non c'è. E' una distesa candida che si confonde col resto. In certi momenti non ci si vede per il fitto fioccare e alla una i panini e il caffè del termos ce li prendiamo sotto lo spiovente di un casolare.Di un giorno come questo, nel ronzio dell'auto al ritorno, ricordo il rumore dei passi scricchiolanti e il fiato che si confonde con i fiocchi. Basta e, davvero, avanza.

giovedì 15 febbraio 2007

onde nebbie

Che non sia
l'ossessione
di mille canti
senza amore.
Di sirene
spostate
di getto
da una prua
a un dolore.
Fiammeggianti
nella nebbia
di mare

sabato 3 febbraio 2007

pane

Il vento
di una neve
da chissà dove
sparge
agli angoli
un filo
di pane
nella notte.
Lievitano attese
nei cuori
di chissà chi

domenica 28 gennaio 2007

il ricordo non è Memoria

In questo sabato 27 gennaio di compere e di passeggio, Giorno della Memoria, c'è una cinquantina di persone disposta ad ascoltare storie. Fiabe vere nate tra noi più di 60 anni fa nell'inferno che attraversava l'Europa. Nissin era un ragazzo di tredici anni in una famiglia ebrea di Milano. I bombardamenti convinsero il papà artigiano a cercare per loro quattro un luogo in cui rifugiarsi, qualche decina di chilometri verso la campagna. D'improvviso il 9 settembre si scoprirono candidati alla deportazione. Non un perchè che comprendessero, ma niente più scuola e amici, e la sensazione che gli sguardi attorno potesserlo condurli su quei vagoni in partenza per il Brennero. Nell'aria domestica che si era fatta gelida seppur d'estate, decisero di salire su un treno per la Svizzera, che era lì dietro l'angolo e ora assomigliava a un nuovo paradiso. Vi sbarcarono sollevati, con due cose, e andarono dai militari. Qualche domanda e poi via, tornate da dove venite, non c'è motivo d'accoglienza. Via. La sera erano ancora con gli occhi spalancati al buio nella casina fuori Milano. Papà Contente decise di giocare una mano estrema e senza ritorno. Andarono dal segretario comunale del paese, un buon uomo si diceva, e follemente, si rivelarono. Il dottor Bassi non era solo un buon uomo, era un uomo buono. Si alzò e andò di là per un minuto, lasciando sulla scrivania quattro carte di identità vuote. I Contente si guardarono e di getto le compilarono. Arrivarono misteriosamente anche i timbri di validazione. Ora erano sfollati siciliani oltre la linea Gotica, ma non potevano tornare tra i vicini che li conoscevano e li avrebbero subito smascherati. Il dottor Bassi era qualcosa in più che buono, era coraggioso. Lo sapeva, quello che stava facendo poteva far condannare alla deportazione tutti, anche quella sua bimbetta che gli era nata da un anno e che, adesso, il 27 gennaio 2007, ha accompagnato qui Nissin a narrare la sua storia, la loro storia. Il segretario aveva giurisdizione pure sul comune limitrofo e non si fermò. Portò i Contente nella scuola chiusa e li alloggiò in uno stanzone che divenne, per anni che sembrarono secoli, la loro casa. Come facevano a campare? avrebbero potuto chiedersi lì in giro. Il padre di Nissin scappava di tanto in tanto a Milano per vendere in nero, con il contagocce, i gioelli che avevano salvato. Però il grandicello Nissin doveva mostrar di lavorare, e allora rimaneva chiuso sei giorni della settimana nella stanza, invisibile, come se fosse chissà dove a guadagnar la pagnotta. Tutto calcolato, niente mosse false per nessuno, neanche per il dottor Bassi che inventava capatine di ispezione alla scuola per confortarli, portargli qualcosa, dirgli di resistere. Ora il suo nome è tra i Giusti di Israele e le famiglie Contente e Bassi si sono legate con un filo indistruttibile. Perchè quello che tutti credevano fosse un uomo buono, magari coraggioso, in realtà fu un mite, assoluto eroe.
Accanto, adesso, racconta Giancarlo. Un giorno, era bambino, vide il padre uscire con delle persone dalla casa di Saronno, e non tornò più. Uno scampato scorse Pietro su un mucchio di cadaveri, a Gusen. Divenne sapone, fumo, mangime per animali o concime per le fattorie. Non è mai morto, dice Giancarlo, perche non riuscirono mai a farlo iscrivere al partito fascista, lui, ferroviere, pressochè obbligato. Il suo numero tatuato dagli aguzzini, Giancarlo lo ripete sempre a memoria. Davvero , come loro volevano, è rimasto indelebile, a rendere invincibile il vinto, a sconfiggere per sempre i suoi vincitori.
Tocca a Martina e Veronica che hanno messo in un video, tra le mura di casa, il nonno sulla sua quotidiana poltrona a sostenerlo. Ricorda, il vecchio Pompeo, di essere stato un soldato di vent'anni caricato su un treno per conquistare Grecia e Albania. Aveva un fucile a tracolla che non sapeva usare e non lo usò fino a quel settembre, quando li caricarono su un altro treno che ci mise un mese ad approdare in Germania. Campo di concentramento per militari italiani, a spaccarsi la schiena nel fondere il ferro per il disperato sogno hitleriano. Lo liberarono gli americani e lui, afferrata la cioccolata, saltò su un camion fino a casa. Ci arrivò unto nero in faccia, e per africano lo presero i compaesani, che videro risorgere dall'abisso quel ragazzo dei loro. Guerra di chi? ancor oggi si domanda Pompeo, che guarda nelle sue nipoti la determinazione e la tenerezza dei suoi anni pericolosi.

Il ricordo è diverso dalla memoria. Ricordare, nella parola, è fare appello al cuore, sentire l'istante bruciante ed effimero dell'emozione, prima che fatalmente si spenga. La memoria prende il testimone della passione e lo consegna alla ragione e alla coscienza, lo fa diventare stabile in profondità. Fare memoria dunque non è concedere al passato, per una qualche generosità, l'elemosina di non dimenticare. Al contrario la memoria è la radice indispensabile per conoscere chi siamo, per sapere che cosa di forte o di tremendo ci ha fatti così come ci sentiamo. Lo avevano capito duemilacinquecento anni fa i Greci che misero Mnemosine, La Dea Memoria, a proteggere ciò che di più bello l'uomo aveva creato: le Muse e le loro arti.
E anche questo è Memoria.

venerdì 26 gennaio 2007

di niente

Mi piace
addormentarmi
quando capita
curvato e
arreso
in luoghi
dove alcuni
nemmeno
siederebbero.
E in certi giorni
vivere di niente.
Come pastore
che attende l'alba
o aria di passaggio

lunedì 22 gennaio 2007

piccolo racconto: "Le carezze di Sanja"

Sanja era lì da un mese. Racchiusa in un bozzolo di letto, al grigio un po' buio sparso dalle quattro pareti.In alto una finestra smilza,come un quadro tra i pochi quadri,vecchie foto appese con l'attaccapanni e una corda per il bucato.
Era stata la guerra, anzi, era la guerra ad aver deciso che l'infanzia di Sanja si fermava lì. Quando il fratello e la nonna l'avevano raccolta dietro la casa, nell'orto dell'insalata ormai intirizzita e dei giochi rimasti,la pensavano addormentata. Così composta nell'abito a puntini gialli e la mano vicino alla fronte. C'era stato un tuono forte subito prima,uno squarcio d'aria. Non proprio nuovo,da due anni ce n'erano.Ma potente,sì, una specie di terremoto di un istante.
Una mina lì vicina, forse mossa da un animale, non l'unica in quei due anni. Aveva trasformato un sasso piccolo e affusolato in un proiettile che radendo il campo e il muretto aveva infine incrociato la tempia di Sanja. Quella poggiata tra i fiori ritardatari e che aveva lasciato le dita rosse ad Aleksa quando l'aveva sollevata dicendo "Che c'è, che c'è?"
Era un mese fa, tra l'autunno e l'inverno, in quel cielo dell'anno frizzante e terso,nostalgia d'estate e avviso di Natale.All'ospedale avevano bisbigliato che la mente di Sanja se n'era andata. Nessun risveglio, nè macchine a ronzare, nè posti letto in più.Brande dappertutto, e andirivieni chiassoso di ordini e lamenti.Torna a casa Sanja, e finchè dura dormi lì.
Aleksa aveva interrotto, per forza come tutti gli altri,l'ultimo anno di scuola superiore,e leggeva,leggeva molto da sempre.Anche adesso,senza i libri della biblioteca,recuperava pezzi di giornale dai camion dei soldati,e vi si sprofondava.Che malattia, diceva il padre. E tra tutte quelle cose che leggeva di viaggi, pittori,scoperte, musica e filosofie, si ricordò Aleksa,che aveva trovato di un bambino curato con le carezze.I genitori, la gente, laggiù in capo al mondo, volevano svegliare il bimbo lisciandolo sulle mani e sul viso, le palpebre e i capelli.Sempre, a turno.
Non aveva mai saputo l'effetto di quella medicina tra pelle e pelle.Chissà.
Portò i parenti da Sanja, e poi i suoi compagni, e quelli di lei, e i loro genitori.Nessuno si oppose,in casa.In silenzio avevano tutti scelto che tra follia e sogno andava bene il sogno.
Anche oggi una nebbiolina appesa tra le piante cadeva sul manubrio di quelli che arrivavano, di vicini sempre più da lontano.
Le prime stelle sulla collina sono come lame di diamanti che resistono all'usura dei giorni e dei tanti cuori infranti.Parlerà ancora,un mattino,la vita all'amore di Sanja,rifiorirà come il suo campo la difficile promessa? Assopita su grandi sentieri di nuvole e mare seguirà orme invisibili,un canto nella notte?
Ognuno chiedeva a sè queste cose sfilando davanti a Sanja e carezzandola leggero, e sembrava pensare "Non è forse come lei, un dopo e un non ancora il nostro quotidiano correre e spezzarci, smarrirci e cercare,irritarci con chi s'ama?"
E' che a poco a poco quelle carezze a migliaia erano riuscite a tenere a distanza la guerra.Erano divenute più importanti dei confini calati simili a falci d'acciaio tra villaggi e famiglie.
Erano la risposta senza voce di Sanja alle ferite senza sangue dell'odio e delle paure.Le mani strette a pugno nel freddo, o calcate nelle tasche, uscivano dalla casa cariche di calore da passare, fiotto nelle vene che trapelava discreto agli sguardi,ai movimenti.
Non stava succedendo niente.Nè al corpo fuscello fanciullo di Sanja, nè attorno a lei.Non si vedeva nulla, un tutto immobile, adagio posato alla fine delle giornate,durante quel pellegrinaggio lento come brace di camino.Dolcezza essenziale di ogni vespero.
Ma sarebbe successo,o era già successo:a lei, che sola reggeva il vento che le spirava dentro;a loro sfiniti dai giorni del male e,donando carezze,scolari d'amore,allievi di quel fruscio sfiorato sulla pelle, rumore povero, quasi simile a un niente.
Erano più di cento adesso quelli che volevano attirare Sanja a se stessi nel volo del ritorno,immobili come pietra, liberi come il maestrale, mentre fuori il vento gonfiava i vestiti di infinito.

martedì 16 gennaio 2007

dita

Una pioggerellina
senza tempo
cade sul manubrio
della bicicletta
tra le mie fragili dita
reduci dal mio
fragile cuore.
Sono felice
d'essere infelice
bada bene oggi
che non è ieri
e nemmeno domani.
Perchè
a me
di me stesso parlo
e solo così
scavando
scoprendo
mi scalda
come uno
sparo di sole

domenica 14 gennaio 2007

parole che non svaniscono

Ho appena finito di leggere "Seppellite il mio cuore a Wounded Knee".
Questo è il luogo dove nel 1890 finì la storia degli indiani d'America.
In 30 anni niente era più riconoscibile. Nello stesso lasso di tempo in un villaggio indiano una uomo nasceva, diventava capace di usare arco e frecce, faceva una famiglia. Attorno a lui valli e torrenti erano immutabili.Forse cambiava qualche tratto di bosco, la neve era un po' più alta, i bisonti ritardavano una settimana.In quei 30 anni accaddero cose impensabili agli occhi dei nativi. Arrivarono veicoli e armi quasi magici, giovani con le stelle al posto delle piume come grado di valore,donne pallide, esili eppure tenaci, con figli dai capelli gialli o rossi.I sentieri dove si cavalcava in silenzio in fila divennero autostrade piene di carri e urla.Se tutto ciò non fosse stata la sembianza stessa della morte si sarebbe potuto dire, per qualche verso, affascinante. Ma i cadaveri dei bambini e le firme ingenue derise su fogli carta straccia dicevano agli indiani che la fine era in marcia.Le pipe inutilmente passate dalle mani dei capi pellerossa a quelle dei capi giacche blu illusero i saggi e i volenterosi. Le riserve erano scampoli di natura buoni per un'intera città dei bianchi e però sufficienti per la caccia e la raccolta non di migliaia, ma di poche decine di indiani.Appare incredibile anche a noi oggi quello che in una manciata d'anni successe senza tregua. Nel frattempo i bianchi erano anche riusciti a iniziare e finire una mattanza tra loro vestiti con giacche diverse...perchè? si chiedevano sulle colline e nelle pianure.Sortilegi senza risposta.Presto fu chiaro agli indiani che ci potevano essere solo due strade da percorrere. Entrambe avevano come destinazione la catastrofe. Alcuni scelsero la prima,accettando una esistenza miserabile a capo chino.Altri la seconda, la lotta fino al suicidio etnico in nome dell'onore mai domo.
Ci sono parole che rimangono dentro di noi indelebili, è come se non avessero epoca. Ogni uomo dovrebbe sentirle pronunciate verso se stesso. Ne riporto alcune.

"Non abbiamo mai fatto male all'uomo bianco.Noi vogliamo essergli amici.I bisonti stanno diminuendo, le antilopi sono poche ormai.Avremo fame e saremo costretti a venire al forte.I vostri giovani uomini non devono sparare su di noi; ogni volta che ci vedono ci sparano addosso, e noi spariamo a loro."
Tonkahaska (Toro Alto)
al generale W.Scott Hancock

"I bianchi cercavano sempre di far vivere gli indiani come loro. Gli indiani non sapevano come farlo e comunque non gli interessava.Se gli indiani avessero cercato di far vivere i bianchi come loro, i bianchi avrebbero opposto resistenza"
Wamditanka (Grande Aquila)

"Quando l'uomo bianco arriva lascia una traccia di sangue dietro a sè. Noi abbiamo due montagne in questo paese, voglio che il Grande Padre non faccia strade attraverso di esse...dalle strade cominciano tutti i nostri problemi.Ho detto queste cose tre volte. Ora sono venuto a dirlo per la quarta volta."
Nuvola Rossa ai
rappresentanti del governo

"Da un inventario fatto dagli ufficiali dopo l'irruzione in un accampamento e il suo incendio totale: 251 tende, 962 abiti di pelle di bisonte, centinaia di stoviglie e utensili, cibarie immagazzinate."
Dopo azioni come queste gli indiani, soprattutto i giovani apprendisti guerrieri (e questa è una costante in tutte le tribù, i capi quasi mai riuscivano a frenarli anche se tentavano),partivano per incursioni contro le diligenze di collegamento, piccoli drappelli in uscita dai forti, fattorie di pionieri, binari e pali del telegrafo, disperdendo e uccidendo il bestiame dei civili e dei militari. E' quello che per mezzo secolo abbiamo visto nei film...

Infine una "chicca": nel 1866 il Congresso americano approva una legge che concede i diritti civili a tutti i nati negli Stati Uniti (unica eccezione gli indiani... i soli ad essere lì da sempre!)

lunedì 8 gennaio 2007

prima ora: toccare con mano

Dopo un bel po' di anni vicino agli studenti guardo con un punto interrogativo ogni nuova ondata di ragazzi (ai quali irrimediabilmente mi affeziono). Come sono davvero? Di che cosa hanno bisogno che non pensino di avere già? Non più di parole: ci si sono abituati e,purtroppo,si sono impermeabilizzati: troppi maestri. Le parole colpiscono nel segno solo se sono accompagnate da un fatto significativo, da una persona che gli adolescenti percepiscono come valida, non fasulla. Seguendo talora con il ragionamento e talaltra istintivamente questa considerazione mi sono reso disponibile a vivere con un gruppo sempre più folto, formato da ragazzi di varie classi, l'esperienza della Casa della Carità. Per tre volte ormai abbiamo trascorso alcuni giorni e notti in questa grande, e per tanti versi fenomenale, "casa" di accoglienza alle porte di Milano. Non faccio retorica se dico che per molti di questi adolescenti si è verificato un interiore salto di qualità. Sedersi a mensa insieme a degli immigrati stranieri è diverso dal pensare qualcosa sugli stranieri. Giocare con i bambini "rom" è un'altra cosa che non dare un giudizio sui "rom". Entrare in un giorno di pioggia nelle loro baracche per accettare un bicchiere di benvenuto non c'entra nulla con il vedere alla tv le favelas di Milano.
E' a questo punto che ti accorgi di non avere più nulla da insegnare. Vuoi solo reimparare daccapo con i ragazzi, ascoltare, ascoltarli. E ringraziarli perchè loro credono che sia stato tu a condurli lì e invece, vecchio come sei, ti ci hanno portato.
(Per conoscere la Casa della Carità vai sul suo sito cliccando il link a fianco pagina)

domenica 7 gennaio 2007

nessuno è senza voce

Ciao!Eccomi con una una poesia a inaugurare il blog.Ne troverete spesso perchè è il modo di scrivere in cui mi ritrovo. La dedico ai miei genitori che non ci sono più.

Mio padre
e mia madre
non hanno mai avuto
la patente.
Sono andati
in bicicletta
in paradiso.
Ci sono arrivati
perchè erano partiti
appena nati