lunedì 8 gennaio 2007

prima ora: toccare con mano

Dopo un bel po' di anni vicino agli studenti guardo con un punto interrogativo ogni nuova ondata di ragazzi (ai quali irrimediabilmente mi affeziono). Come sono davvero? Di che cosa hanno bisogno che non pensino di avere già? Non più di parole: ci si sono abituati e,purtroppo,si sono impermeabilizzati: troppi maestri. Le parole colpiscono nel segno solo se sono accompagnate da un fatto significativo, da una persona che gli adolescenti percepiscono come valida, non fasulla. Seguendo talora con il ragionamento e talaltra istintivamente questa considerazione mi sono reso disponibile a vivere con un gruppo sempre più folto, formato da ragazzi di varie classi, l'esperienza della Casa della Carità. Per tre volte ormai abbiamo trascorso alcuni giorni e notti in questa grande, e per tanti versi fenomenale, "casa" di accoglienza alle porte di Milano. Non faccio retorica se dico che per molti di questi adolescenti si è verificato un interiore salto di qualità. Sedersi a mensa insieme a degli immigrati stranieri è diverso dal pensare qualcosa sugli stranieri. Giocare con i bambini "rom" è un'altra cosa che non dare un giudizio sui "rom". Entrare in un giorno di pioggia nelle loro baracche per accettare un bicchiere di benvenuto non c'entra nulla con il vedere alla tv le favelas di Milano.
E' a questo punto che ti accorgi di non avere più nulla da insegnare. Vuoi solo reimparare daccapo con i ragazzi, ascoltare, ascoltarli. E ringraziarli perchè loro credono che sia stato tu a condurli lì e invece, vecchio come sei, ti ci hanno portato.
(Per conoscere la Casa della Carità vai sul suo sito cliccando il link a fianco pagina)

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